Malattie rare e corse a ostacoli

I malati rari vengono in genere considerati pazienti difficili. Si pongono sulla difensiva, pensano di sapere più di chi li cura, si arrabbiano con facilità, tendono a fare di testa propria, cercano più pareri affrontando anche viaggi lunghi e costosi, non si fidano facilmente, hanno un lungo elenco di specialisti di cui non vogliono nemmeno sentir parlare, hanno storie lunghissime fatte di infiniti sintomi, innumerevoli esami e visite, spesso presentati alla rinfusa. Come mai avviene questo? Vediamo cosa significa essere unǝ malatǝ rarǝ.

All’inizio, la persona ha dei sintomi che potrebbero essere dovuti a qualsiasi cosa. Si reca dallǝ medicǝ e viene sottoposta ad esami di base. Questi possono essere normali o quasi, con qualche valore un pochino fuori dalla norma ma che non indica in modo certo una specifica patologia. Viene quindi inviata da unǝ specialistǝ che la visita ed esegue altre indagini, oppure può venire ricoverata per accertamenti. Anche questi ulteriori esami possono risultare normali o poco alterati, non indicativi. A meno di non avere la fortuna di trovare chi ha già visto casi simili o chi ha studiato quella specifica patologia, difficilmente la persona troverà risposte chiare. Verranno fatte delle ipotesi, cosiddette diagnosi differenziali, da esplorare con altri esami e altrǝ specialistǝ. Siccome le malattie rare sono migliaia, in tantissimi casi nessuna di queste diagnosi si rivelerà quella conclusiva. Nel frattempo, la persona avrà girato moltǝ medicǝ e fatto molti esami, nella disperazione avrà cercato in tutti i siti web possibili e in tutti i gruppi di pazienti, la sua cartella medica sarà corposa e le sue informazioni aumenteranno, spesso in modo confuso e disorganizzato perché manca delle competenze necessarie a organizzare il tutto e dare un senso. Qualcunǝ finirà in mano a guru, santoni, guaritori e guaritrici, pratiche varie non scientifiche, che nel migliore dei casi non avranno effetto a parte quello di svuotare il portafoglio. Qualcun altrǝ si vedrà prescritti farmaci che in realtà non servono che potrebbero anche peggiorare la situazione.

A questo punto, spesso interviene la dinamica della diagnosi errata psichiatrica e il conseguente abbandono. È pieno di persone che va in ansia dopo uno starnuto o con un linfonodo ingrossato ma, non si capisce bene perché, chi ha sintomi spesso invalidanti di cui non si trova una causa dovrebbe affrontare serenamente la situazione. Alla persona viene quindi fatta diagnosi di un disturbo depressivo o ansioso che, per carità, possono anche essere presenti, ma non sono la causa dei sintomi. Vengono prescritti psicofarmaci a caso, in genere senza una visita psichiatrica. Se invece la persona non sviluppa patologie psichiatriche, allora sarà un evidente caso di somatizzazione: torniamo quindi alla psichiatria senza possibilità di appello.

La persona si trova quindi in questa situazione: ha una malattia fisica che la fa stare male, non sa che malattia sia, non ha accesso a terapie, non viene creduta, non ha nessun supporto, assume farmaci che non le servono e che non migliorano la situazione, arriva anche a dubitare di sé stessa, di ciò che sente, spesso dubitano anche i famigliari, intanto la malattia esistente fa il suo percorso e peggiora.

Ogni volta che va da unǝ nuovǝ specialista sa già che non verrà creduta. Qualcunǝ decide di arrendersi pur di non rivivere ogni volta l’esperienza. Chi è un po’ più tostǝ andrà avanti a cercare risposte, passando ancora di più per ipocondriacǝ. Con tanta fortuna e tanta pazienza, un giorno arriverà qualcunǝ che dirà: “Io le credo, questi sono i sintomi di questa malattia, dobbiamo fare questo esame per vedere se è così”. Il giorno della diagnosi, il mondo penserà: “Oddio, ha questa malattia, mi dispiace!”, ma la persona con malattia rara finalmente proverà sollievo. Una diagnosi non dice nulla di nuovo, la malattia c’era già, ma finalmente ci sono risposte a lungo cercate.

Nel frattempo, però, si sarà sentita dire cose molto stupide: “E una volta che hai una diagnosi, cosa te ne fai?” (risposta: una diagnosi dà accesso a una terapia); “Dovresti smettere di cercare e pensare a vivere la tua vita senza fissarti sulla diagnosi”; “È tutto nella tua mente quindi non hai nulla” (con buona pace di chi ha davvero una malattia mentale: siamo ancora rimastǝ alla buona volontà?); “Ormai sta male da tanto, per questo esame/farmaco può anche aspettare 6 mesi o un anno, cosa le cambia?” e tanto altro.

Adesso, è così difficile comprendere perché ǝ malatǝ rarǝ non si fidano, apprendono tutto sulla loro patologia, sono arrabbiatǝ e hanno cartelle cliniche infinite?

Se sei unǝ medicǝ, ricordati che il tuo rapporto con la persona che hai davanti influenzerà anche le sue aspettative verso le successive interazioni sanitarie.

Descrizione immagine: primo piano di un leone.

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